Le superfici produttive di rifiuti speciali non sono totalmente esenti dalla Tari ma devono pagare la quota fissa, essendo questa destinata a finanziare i costi generali del servizio nell’interesse dell’intera collettività.
Nell’ordinanza 13455/2024 (Nt+ Enti locali & Edilizia del 28 maggio) la Cassazione conferma il proprio recente orientamento giurisprudenziale ( 8089/2020, 7187/2021, 8222/2022, 4564/2023, 31677/2023 e 2937/2024).
Questa volta però, nell’affermare il principio di diritto, la Cassazione è andata oltre, bocciando la tesi secondo cui l’orientamento di legittimità non sarebbe aderente al dettato normativo.
In particolare i giudici di Piazza Cavour citano il comma 651 della legge 147/2013, che richiama il Dpr 158/99 il quale suddivide la tariffa in due quote, fissa e variabile; la prima riferita alle componenti essenziali del servizio, la seconda rapportata alle quantità dei rifiuti conferiti, al servizio fornito e all’entità dei costi di gestione.
Pertanto, secondo la Cassazione, nel sistema delineato dal legislatore, la quota fissa incide in misura predeterminata, avendo la funzione di assicurare la copertura degli investimenti, per cui questa è sempre dovuta essendo del tutto irrazionale una disposizione che esentasse totalmente dal pagamento della Tari soggetti che, comunque, fruiscono del servizio. Tanto più se si considera che per legge (comma 654, legge 147/2013) deve essere assicurata la copertura integrale dei costi per cui la parte di quota fissa gravante sui produttori anche di rifiuti speciali finirebbe per ricadere sulle utenze domestiche.
Il ragionamento della Cassazione non appare persuasivo, in primo luogo perché il presupposto del tributo è costituito solo dalle superfici suscettibili di produrre «rifiuti urbani» (commi 641 e 642 legge 147/2013), per cui nella determinazione della superficie «tassabile» non si tiene conto di quella parte ove si formano rifiuti speciali, al cui smaltimento sono tenuti a provvedere a proprie spese i relativi produttori (comma 649).